La salvaguardia della salute mentale rientra in quel diritto alla salute che oggi appare fortemente minacciato. Ma un disinteresse particolarmente evidente è oggi riscontrabile in Umbria nei confronti di ogni forma di disagio psichico ma soprattutto quello che colpisce giovani e bambini. È l’insieme dei servizi socio sanitari ad essere inadeguato rispetto a questo tipo di bisogno; il che è aggravato da una mancata connessione in rete di questi servizi. È evidente che le amministrazioni responsabili non sembrano interessate a investire risorse in questo campo e non solo risorse economiche ma neppure quelle che consistono in iniziative di sensibilizzazione e coinvolgimento dei cittadini.
Non si può valutare la salute mentale solo in termini sanitari, come cura della malattia, ma si devono prendere in considerazione anche aspetti extra sanitari, facendo riferimento a tutto ciò che incide sul benessere delle persone.
Lo stato penoso in cui sono lasciati i Centri di salute mentale è un sintomo di questa situazione e il degrado appare particolarmente evidente in questa città, perché essa ha sperimentato un’eccellenza frutto di una trasformazione radicale dell’assistenza psichiatrica, avviata con la chiusura del manicomio e la costruzione di servizi in tutto il territorio in un’epoca di più di un decennio anteriore alla riforma del 1978.
Alcuni elementi di pregio che avevano caratterizzato la pratica di cura e il rapporto tra servizi e popolazione sono andati perduti (pensiamo ad esempio alle numerose e partecipate assemblee di cittadini sui temi della salute mentale).
Così, anche nei Centri di salute mentale, si sono moltiplicate le liste di attesa (prima non esistevano), il che è fonte di grave danno per gli aventi bisogno perché per il disturbo mentale l’intervento è improcrastinabile, in particolare per l’età evolutiva; la presa in carico delle situazioni è sempre meno forte (si arriva a dare appuntamenti a un paziente in carico a distanza di mesi); sono cancellate le prestazioni più complesse, come gli interventi psicoterapeutici (la cura si riduce alla pura prescrizione di psicofarmaci); diventa sempre più precario, e in alcuni casi è del tutto interrotto, il lavoro di collegamento tra i diversi settori della rete di salute mentale (Centri di salute mentale, Reparto ospedaliero, Residenze di terapia e riabilitazione, servizi per l’età evolutiva e per gli adulti) ed è sempre più difficile la collaborazione tra i diversi professionisti (psichiatri, psicologi, assistenti sociali, infermieri) all’interno dei gruppi di lavoro; sono venuti meno i raccordi con le istituzioni e gli ambienti fondamentali per il lavoro di prevenzione (scuola, luoghi di lavoro, Tribunale, ecc).
Quali le cause di questa regressione? Possiamo dire che ciò è avvenuto:
per una riduzione delle risorse in situazioni in cui le richieste aumentano e si modificano per l’emergere di nuovi bisogni;
per la mancanza di un indirizzo politico che ponga come missione fondamentale la promozione della salute: in questo nuovo regime i servizi sono di fatto costretti a occuparsi solo della cura delle malattie e, per la selezione dei casi che avviene a causa della riduzione delle risorse, sempre più solo delle urgenze e sempre meno della prevenzione e dell’interruzione non concordata delle cure;
per una organizzazione verticale delle Aziende che privilegia meccanismi di controllo, che svaluta gli apporti conoscitivi degli operatori, necessari a governare e organizzare in modo efficace l’intero sistema;
per l’impoverimento delle situazioni di formazione e di ricerca necessarie a far progredire le competenze degli operatori, rese indispensabili anche di fronte all’emergere di nuovi bisogni e quindi di nuovi compiti.
È ancora possibile rimediare ai danni subiti dai servizi, neutralizzando i meccanismi che li hanno provocati, prima che si instauri una pratica violenta di cui ci siamo con tanta fatica liberati.
Ma una politica che voglia veramente migliorare la salute mentale dei cittadini, non può limitarsi a questo. È necessario che imposti il proprio stile operativo favorendo, all’interno di un regime di maggiore partecipazione, tutte le occasioni di contatto tra i cittadini e i servizi. I servizi devono essere trasparenti e i cittadini devono poter esprimere liberamente i propri bisogni, proprio quando la carenza di risorse disponibili attiva conflitti piuttosto che collaborazioni.
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